L’IDENTITÀ DI UN LUOGO

Qui sono nato e ci sono stato spesso, perchè mio papà ci ha lavorato per quarant’anni.
L’entrata non è cambiata, ci fermavamo davanti alla guardiania, salutavamo ed entravamo. Poi andavamo verso il cortile centrale, dove c’è la fontana. Arrivavamo fino in fondo, quasi all’edificio con l’orologio, e di solito parcheggiavamo lì, più o meno sulla curva.
Mio padre entrava dall’ingresso 19, anche se prima c’era scritto “Cardiochirurgia”.
Me lo ricordo bene, quando diceva: “passo un attimo in ospedale, tu resta un attimo sotto in macchina che arrivo subito”. L’attesa poteva durare da un quarto d’ora a più di un’ora. Così mi capitava di restare a fissare a lungo quell’entrata.
La scala, l’androne, la segreteria, lo studio, li riconosco ancora nonostante i cambiamenti, sono sempre loro.
Invece la sala operatoria non l’avevo mai vista, non avevo mai avuto il coraggio di entrarci. È stato strano visitarla adesso, ora che verrà trasformata in chissà cosa.
L’odore di disinfettante c’è ancora, anche dopo 4 anni di chiusura. Tutto però è silenzioso, non che sia mai stato un posto chiassoso, ma il suono dei passi lungo i corridoi, le voci sommesse dei pazienti e delle famiglie nelle stanze non ci sono più.
Si sentono solo il cicalino dell’impianto dell’ossigeno in avaria che, dalle scale di servizio, rimbomba nei corridoi vuoti e qualche finestra che sbatte per il vento.
Regna la penombra, anche se ci sono ancora delle luci accese.
Non hanno lasciato praticamente nulla, resta una struttura vuota, spettrale. Eppure non riesco a fare a meno di pensare a tutto quello che per quasi un secolo è successo in quelle sale. La vita e la morte, l’angoscia e la speranza, l’attesa e l’attività frenetica, rivedo tutto questo su quei pavimenti sporchi ed impoleverati e su quei muri scrostati.
Centinaia di migliaia di persone sono passate attraverso questi luoghi, pazienti, familiari, medici e infermieri.
Ora c’è solo un silenzio interrotto dai rumori dei lavori che stanno trasformando questo luogo in qualcosa di diverso.
La vita è continua trasformazione e, forse, ci abiuteremo a quello che diventerà, ma per ora resta sempre l’ospedale di Bergamo.

Il libro è in vendita on-line e presso il mio studio.

Qui sono nato e ci sono stato spesso, perchè mio papà ci ha lavorato per quarant’anni.
L’entrata non è cambiata, ci fermavamo davanti alla guardiania, salutavamo ed entravamo. Poi andavamo verso il cortile centrale, dove c’è la fontana. Arrivavamo fino in fondo, quasi all’edificio con l’orologio, e di solito parcheggiavamo lì, più o meno sulla curva.
Mio padre entrava dall’ingresso 19, anche se prima c’era scritto “Cardiochirurgia”.
Me lo ricordo bene, quando diceva: “passo un attimo in ospedale, tu resta un attimo sotto in macchina che arrivo subito”. L’attesa poteva durare da un quarto d’ora a più di un’ora. Così mi capitava di restare a fissare a lungo quell’entrata.
La scala, l’androne, la segreteria, lo studio, li riconosco ancora nonostante i cambiamenti, sono sempre loro.
Invece la sala operatoria non l’avevo mai vista, non avevo mai avuto il coraggio di entrarci. È stato strano visitarla adesso, ora che verrà trasformata in chissà cosa.
L’odore di disinfettante c’è ancora, anche dopo 4 anni di chiusura. Tutto però è silenzioso, non che sia mai stato un posto chiassoso, ma il suono dei passi lungo i corridoi, le voci sommesse dei pazienti e delle famiglie nelle stanze non ci sono più.
Si sentono solo il cicalino dell’impianto dell’ossigeno in avaria che, dalle scale di servizio, rimbomba nei corridoi vuoti e qualche finestra che sbatte per il vento.
Regna la penombra, anche se ci sono ancora delle luci accese.
Non hanno lasciato praticamente nulla, resta una struttura vuota, spettrale. Eppure non riesco a fare a meno di pensare a tutto quello che per quasi un secolo è successo in quelle sale. La vita e la morte, l’angoscia e la speranza, l’attesa e l’attività frenetica, rivedo tutto questo su quei pavimenti sporchi ed impoleverati e su quei muri scrostati.
Centinaia di migliaia di persone sono passate attraverso questi luoghi, pazienti, familiari, medici e infermieri.
Ora c’è solo un silenzio interrotto dai rumori dei lavori che stanno trasformando questo luogo in qualcosa di diverso.
La vita è continua trasformazione e, forse, ci abiuteremo a quello che diventerà, ma per ora resta sempre l’ospedale di Bergamo.

Il libro è in vendita on-line e presso il mio studio.